CCNL Vigilanza privata scaduto, sentenze e class action: il pensiero di ANI Sicurezza

Non si trova personale. Un mantra che si sente dappertutto, non di rado con intenti prettamente ideologici. Colpa del reddito di cittadinanza? Di salari troppo bassi? Della riduzione dei flussi migratori sud-nord? Delle nuove aspettative nate con lo smart-working? Dei giovani che amano troppo Netflix e il divano? Sarà, ma nel settore vigilanza privata c’è un CCNL – con minimi bassissimi – scaduto da ben sette anni. Quindi di chi è la colpa? L’abbiamo chiesto a Enzo De Fusco, Presidente della Commissione Sindacale di ANI-sicurezza, Docente Universitario e Consulente del Lavoro (De Fusco Labour & Legal).

Prof. De Fusco, i giovani sono pigri, choosy e divanati oppure un contratto di settore vecchio di 7 anni e con retribuzioni decisamente poco appetibili fa passare la voglia di mettersi in gioco?

Sicuramente nell’immediato un rinnovo del Contratto di Lavoro della Vigilanza Privata e dei Servizi Fiduciari potrebbe aiutare quanto meno nel limitare la migrazione dei lavoratori verso altri contesti e nel dare una prospettiva evolutiva alle risorse umane dipendenti dalle aziende del settore. Nel medio lungo termine, potrebbe invece dispiegare effetti più rilevanti, stabilizzando la forza lavoro.
Ritengo che non si possa parlare di colpe, ma più propriamente di responsabilità, che per definizione sono da attribuire ad entrambe le parti che hanno sin qui portato avanti la trattativa.
Ho l’impressione che i rispettivi schieramenti si siano concentrati più sul concetto di rinnovo dell’esistente testo contrattuale, che presentava e presenta tutt’ora una serie di limiti che nel tempo hanno anche dato luogo a situazioni di contenzioso, più che al reinquadramento delle problematiche del settore ed alla redazione di un nuovo testo che consentisse di guardare al futuro, evitando di insistere su strade che scontano compromessi storici e che non rappresentano più risposte al mondo “attuale”.

Perché allora ANI-sicurezza non procede al rinnovo?

ANI-sicurezza, l’associazione di categoria che rappresento, è stata recentemente costituita da aziende leader del mercato che, per motivi diversi, non si sentivano adeguatamente rappresentate e sono uscite, in tempi diversi, dallo storico sistema associativo del settore, fra gli altri motivi, principalmente proprio per contribuire a superare la situazione di stallo venutasi a creare. Purtroppo, sino ad ora, non essendo ANI-sicurezza firmataria del precedente contratto, non le è stato consentito di partecipare alle trattative, pur avendo fatto più volte formale richiesta di sedere al tavolo.

Ma questa situazione sta facendo danni enormi, lato lavoratori ma anche lato imprese…

I danni sono rilevanti. Dal punto di vista dei lavoratori cresce la frustrazione per il mancato rinnovo contrattuale in un contesto in cui gli altri settori, magari con ritardo, hanno già raggiunto il risultato.
Per le imprese, il fatto di dover gestire un crescente contenzioso, non tanto sul fronte delle Guardie Giurate, quanto piuttosto su quello degli Operatori Fiduciari. E questo perché il CCNL vigente presenta livelli retributivi ritenuti troppo bassi rispetto alla media dei contratti di altre categorie, pur trattandosi del CCNL di gran lunga più applicato nel settore e sottoscritto dalle Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative, CGIL, CISL e UGL.

Cosa pensa delle recenti iniziative sindacali di protesta (class action ed esposti all’Ispettorato Nazionale del Lavoro)?

Mi lasciano perplesso. Sono iniziative promosse con esposti all’Ispettorato Nazionale del Lavoro e con l’avvio di una class action, per il tramite di due lavoratori, volte ad accertare la violazione dell’articolo 36 della Costituzione ed a chiedere ai giudici di decretare l’applicazione del CCNL Multiservizi in luogo del contratto di settore firmato dalle stesse single sindacali. In questo modo si mette nero su bianco la sconfitta dell’autonomia collettiva stabilendo un precedente pericoloso non solo per il settore della vigilanza, ma anche per gli altri settori. Questa azione, infatti, da un lato di fatto disconosce l’esistenza di un contratto di settore e dall’altro ritiene rappresentativo per gli Operatori Fiduciari un CCNL residuale, che ha l’unico pregio di essere già stato rinnovato.

Si riferisce al CCNL Multiservizi?

Il CCNL Multiservizi rappresenta una via d’uscita che rischia però di riportare il settore nel caos contrattuale in cui versava prima dell’introduzione di uno specifico contratto di categoria, oltre ad essere una chiara rinuncia delle parti sociali ad esercitare il loro ruolo fondamentale. Un’iniziativa di classe sostitutiva dello strumento negoziale è un controsenso, ancor più grave se promossa solo nei confronti di un’azienda che non è mai stata parte di associazioni datoriali protagoniste della condizione contrattuale che si è venuta a creare. In quest’ottica, sia le azioni legali che vertono sull’articolo 36 della Costituzione che la class action o gli esposti agli Ispettorati del Lavoro per ottenere una applicazione retroattiva del CCNL Multiservizi al posto del CCNL sottoscritto rappresentano strade incerte e pericolose per lo stesso sindacato. Mettono infatti in discussione i principi fondamentali del diritto, che individuano nelle parti sociali, attraverso il contratto di lavoro, lo strumento più idoneo a stabilire un salario destinato a risultare effettivo nel contesto socioeconomico dato. Non a caso il contratto contestato, sottoscritto dalle Organizzazioni Sindacali certamente più rappresentative, nasce proprio con lo scopo di contrastare trattamenti al ribasso definiti da contratti non rappresentativi.

E se i giudici accogliessero le richieste?

Se detti contenziosi arrivassero a sentenze di accoglimento da parte dei giudici, si smantellerebbe uno dei pochi elementi di certezza per lo svolgimento dell’attività di impresa in Italia. Infatti, per l’impresa non sarebbe più sufficiente applicare un CCNL del settore sottoscritto dalle OOSS comparativamente più rappresentative, ma esso dovrebbe essere costantemente e puntualmente rinnovato, perché in caso contrario ogni ritardo potrebbe comportare la violazione dell’articolo 36. Allora mi chiedo: dopo quanti anni di mancato rinnovo un CCNL, di qualunque settore, potrebbe essere, per il Giudice, considerato in violazione dell’articolo 36 della Costituzione? La risposta sarebbe il far west giudiziale. Inoltre tali sentenze, con l’applicazione ex nunc o, addirittura ex tunc delle più onerose condizioni previste dal CCNL Multiservizi, produrrebbero il dissesto economico delle imprese del settore, valido presupposto per il fallimento delle stesse, con conseguente perdita del posto da parte dei lavoratori, che paradossalmente tali azioni dovrebbero essere volte a tutelare.

Stando alle sue parole, non ci sarebbe via d’uscita. Eppure deve esserci una soluzione!

La situazione è oggettivamente complicata. Difficile pensare di poter portare avanti una trattativa con azioni di tale portata intraprese dalle Organizzazioni Sindacali. Tuttavia, se fossimo chiamati al tavolo ad esprimere un nostro pensiero, confermeremmo la necessità di addivenire in tempi rapidi ad una sottoscrizione da parte di tutte le organizzazioni sindacali e datoriali, che sgombri il campo dai contenziosi e lasci spazio al buon senso, dando certezze sia ai lavoratori che alle imprese e dando finalmente vita ad un’unitarietà che, se ci fosse stata prima, avrebbe sicuramente facilitato il rinnovo. Unitarietà propedeutica a modificare lo stato dell’arte delle relazioni sindacali del settore, finalizzata all’affrontare insieme sfide come la riforma normativa del settore e la rivalutazione del ruolo e dell’immagine degli addetti.

Ma nel concreto, cosa si potrebbe fare?

I punti determinanti, a mio modo di vedere, sono tre.
Il primo è rappresentato dal valore assoluto degli incrementi. Gli importi devono essere coerenti con quanto il mercato è in grado di assorbire nell’arco temporale di durata. Il tema è sicuramente più rilevante per gli Operatori Fiduciari, che partono da retribuzioni meno gratificanti rispetto alle Guardie Giurate. Purtroppo, il divario retributivo venutosi a creare in questi sette anni è importante e per colmarlo penso sia necessaria una programmazione contrattuale di più lungo termine, per arrivare a retribuzioni più attuali e vicine agli altri contratti di lavoro rinnovati.

Il secondo concerne la distribuzione della massa salariale. Le imprese del settore sono aziende labour intensive, con cicli contrattuali con l’utenza di natura pluriennale. L’applicazione di condizioni salariali incrementate, per poter essere ribaltate sul mercato, necessita di un congruo preavviso. Ed a questo non giova il fatto che il contratto sia scaduto da sette anni, poiché i committenti, che non sempre sono disponibili a riconoscere aumenti, non li riconoscono comunque certamente fino a che non sia effettivamente intervenuto il rinnovo del CCNL. Pertanto, per evitare che le aziende incorrano in situazioni di squilibrio economico-finanziario, con conseguenze ben più gravi, una delle condizioni essenziali è che la massa salariale venga distribuita in modo intelligente nell’arco di durata contrattuale, che a mio avviso non dovrebbe essere inferiore a quattro anni.

Il terzo riguarda l’uso di forme di welfare. Occorre ripensare alla struttura delle retribuzioni, utilizzando in misura maggiore gli strumenti di incentivazione e di sostegno del reddito previsti dalla legge e attivabili attraverso la contrattazione collettiva. È un vero peccato pensare di non utilizzare gli strumenti che oggi la normativa ci rende disponibili per perseguire questi obiettivi. Utile invece superare vincoli ideologici e procedere pragmaticamente.

Fonte: Vigilanza Privata Online